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Cinquant’anni della vita di un artista: gli epistolari di Riccardo Zandonai

La divulgazione dell'epistolario integrale di Riccardo Zandonai è il risultato di un’impresa avviata nel 2001 per interessamento dell’Assessorato alle attività culturali del Comune di Rovereto. Essa è consistita nel raccogliere, trascrivere e assemblare in ordine coerente tutti i carteggi finora noti aventi al centro la figura di Riccardo Zandonai e nel dotare questi ultimi di un puntuale apparato di rimandi a elementi di contenuto.
Le fonti a cui si è attinto sono molteplici, ma il nucleo principale rimane senz’altro il Legato Zandonai della Biblioteca Civica «Tartarotti» di Rovereto, che da sola possiede circa il 70% del totale, con i suoi ca. 8160 pezzi di corrispondenza. I repertori di Rovereto sono distribuiti sotto varie segnature, a testimonianza delle diverse epoche in cui i singoli carteggi sono stati incorporati1. Particolarmente significative si sono rivelate anche le raccolte del Centro Manoscritti di Pavia, della Casa Ricordi, della Biblioteca Universitaria di Catania, del Vittoriale di Gardone, della Società Letteraria di Verona e la collezione privata della famiglia Leonardi.
In totale, i documenti raccolti e indicizzati sono in numero di oltre dodicimila.
Per una migliore gestione dei materiali si è ritenuto di evidenziare un grande blocco organico che è stato denominato «Repertori principali»; mentre un altro più frammentario ed eterogeneo è stato fatto rientrare nel settore miscellaneo, diviso a sua volta in due sottosezioni: una che arriva fino al giugno 1944 («Miscellanea») e un’altra che va dal giugno 1944 ad oggi («Repertori postumi»).

«Repertori principali»

La ricostruzione storica ha chiarito come il progetto di raccolta e conservazione dei materiali epistolari zandonaiani per fini postumi di studio e diffusione sia nato da un’idea di Nicola D’Atri nel momento in cui questi, assieme a Zandonai e al poeta-librettista Arturo Rossato, aveva dato vita, intorno al 1920, a un sodalizio artistico-amicale durato poi oltre vent’anni. D’Atri è dunque il vero artefice di questo che rimane il carteggio più cospicuo e notevole per contenuti. Nelle sue parole, il repertorio sarebbe stato destinato al «piccolo museo di Rovereto», intendendo con questo lo spazio riservato al musicista all’interno del Museo Civico in quella che fin dal 1934 andava profilandosi come «sala» o «saletta Zandonai», passata qualche anno dopo nei locali della Biblioteca Civica. L’intesa implicita era che ognuno conservasse con cura le lettere degli altri due perché fossero alla fine riunite e consegnate al Comune di Rovereto, con il quale erano intercorse trattative in tal senso nella persona di Antonio Rossaro, direttore della Biblioteca e fedele sostenitore dell’arte zandonaiana.

Ciò che D’Atri non poteva prevedere era che i suoi due amici più giovani sarebbero morti prima di lui, e per di più nel pieno della bufera bellica, ciò che rese difficilissima l’attuazione del suo piano. Rossato venne a mancare nel marzo 1942 e D’Atri perse quasi subito i contatti con la famiglia di lui, essendo impossibilitato anche a spostarsi e a comunicare per lettera. Apprese poi che l’unica figlia del poeta, Laura, si era nel frattempo sposata e trasferita da Milano a Trieste, ma non riuscì più a riprendere i contatti con lei. Di quella parte del carteggio a tre non si seppe più nulla e con ogni probabilità si finì per ritenerla perduta in modo irrimediabile; in realtà era rimasta tutto il tempo di proprietà della famiglia e conservata nella casa di campagna di Lucino-Montano nel comasco per passare solo dopo la  morte di Laura Rossato al Centro Manoscritti di Pavia (1993). Qui Elena Leonardi, con il regesto fattone in occasione della sua tesi di laurea (L’archivio Arturo Rossato - Inventario della corrispondenza, Università degli Studi di Pavia, a.a. 1998-99), ha avuto il merito di renderla nota al mondo.

La parte del carteggio in possesso di Zandonai andò incontro ad una sorte ancora più avventurosa. Al momento di abbandonare al comando tedesco la villetta di San Giuliano per rifugiarsi nel convento di Mombaroccio (gennaio 1944), il compositore aveva nascosto i ponderosi pacchi di lettere in una grotta del giardino, assieme a spartiti musicali e a molti altri oggetti. Egli, come noto, non tornò mai più alla villa, essendo deceduto all’ospedale di Trebbiantico nel giugno di quell’anno. Quando, dopo alquanto tempo, la vedova Tarquinia poté rivedere la sua casa (diventata poi sede del comando alleato), la trovò occupata da sfollati e senzatetto e con i segni di deturpazioni e saccheggi. Da quanto si capisce attraverso il suo racconto, il nascondiglio della grotta era stato scoperto e violato e mucchi di lettere erano state sparse ovunque e rese irrecuperabili. Una visione del tutto simile la offre la sorella di Tarquinia, Vittoria Bonajuti, nel suo libro di memorie Riccardo Zandonai nel ricordo dei suoi intimi (1951), dove parla di materiale «tutto distrutto o calpestato».

Si deve pertanto accreditare il fatto che molte delle lettere scritte da D’Atri e da Rossato a Zandonai (e non solo quelle) siano andate distrutte in quel modo: più difficile è stabilirne l’esatta entità. In fasi diverse di quel caotico dopoguerra si poté comunque recuperare le cose ancora presenti a San Giuliano e portarle nella casa pesarese di Via D’Azeglio, dove Tarquinia cercò di dar loro una prima sistemazione, sentendosene però soverchiata dalla mole. È difficile pensare che D’Atri, ormai ultra-ottuagenario, abbia potuto occuparsi nel concreto di questo recupero; di certo si sa dell’interessamento di taluni ambienti roveretani nelle persone di Antonio Rossaro, Giovanni Giovannini e Vittorio Casetti, e anzi fu proprio quest’ultimo che si incaricò in prima persona di organizzare il trasporto delle lettere e metterle al sicuro al Museo Civico di Rovereto.
L’unico dei tre ad aver conservato con cura e meticolosità le lettere degli altri due fu Nicola D’Atri, la cui casa di Roma non subì alcun danno dai bombardamenti alleati del luglio 1943. In una tarda comunicazione egli fece un cenno all’enorme mole dei carteggi zandonaiani, che, unici tra tutti, risparmiò dalle fiamme del caminetto ove aveva gettato tutto il resto della sua corrispondenza: ad essi attingerà periodicamente in quella sua estrema stagione per ricordare con nostalgia i tempi andati. Egli morì nell’anno 1955, all’età di 89 anni, lasciando disposizioni affinché si portasse a compimento l’antico progetto di riunire l’intero epistolario a Rovereto.

La complessa vicenda delle donazioni si riassume pertanto in un primo lascito da parte della vedova Tarquini (1948) relativo alle lettere di D'Atri e di Rossato a Zandonai, recuperate dai disastri della guerra e dunque risultate alla fine le più danneggiate2. Vi è poi un secondo lascito effettuato il 10 settembre 1958 da parte degli eredi D’Atri che rimanda alla corrispondenza di Zandonai con l’amico romano. Il primo blocco era condizionato dal vincolo di non essere divulgato prima dei dieci anni successivi alla morte di D’Atri; sul secondo gravava un’analoga condizione che ne precludeva la visione fino allo spirare del 25° anno dalla morte di Zandonai.

Fu infatti il 5 giugno 1969 che, con una cerimonia ufficiale promossa dal Comune di Rovereto, lo scrigno fu riaperto e quella cospicua porzione di lettere sottoposta ad un primo riordino e depositata al Museo Civico, prima di passare, negli anni Ottanta, alla sede più propria della Biblioteca «Tartarotti», dove fu siglata, rilegata in 25 volumi e successivamente microfilmata per la consultazione pubblica.
La sezione «Repertori principali» creata per la presente messa in rete comprende dunque, oltre ai due blocchi appena nominati, la corposa sezione pavese del fondo Rossato (lettere di Zandonai e di D’Atri all’amico poeta), acquisita in trascrizione appositamente per questo progetto.

A tale nucleo si sono voluti aggiungere altri carteggi riferiti a due nomi essenziali nella vicenda zandonaiana: Carlo Clausetti della Casa Ricordi e Tancredi Pizzini medico e amico. Di quest’ultimo, però, si posseggono solo le lettere ‘in andata’, non quelle a lui spedite da Zandonai e da D’Atri, che non si sono finora trovate. Anche le numerose missive mandate da Nicola D’Atri a Clausetti non sono emerse e andranno probabilmente ricercate nella casa madre; lo stesso vale per quelle scritte da Rossato (oltre 300 le lettere ritenute mancanti in questi ultimi due blocchi). I sei flussi epistolari intercorrenti fra i tre protagonisti principali del carteggio (Zandonai-D’Atri-Rossato) sono stati tutti ricostruiti; dei diciotto che si ottengono includendo Clausetti e Pizzini se ne sono coperti per ora solo dodici, come è dimostrato dallo schema qui sotto:

Zandonai - D’Atri 2411 D’Atri - Zandonai 888
Zandonai - Rossato 258 Rossato - Zandonai 168
D’Atri - Rossato 485 Rossato - D’Atri 780
Clausetti - Zandonai 58 Zandonai - Clausetti 228
Clausetti -  Rossato 50 Rossato - Clausetti /
Clausetti - D’Atri 275 D’Atri - Clausetti /
Pizzini - Zandonai 26 Zandonai - Pizzini /
Pizzini -  D’Atri 219 D’Atri - Pizzini /
Pizzini - Rossato / Rossato - Pizzini /

Merita attenzione il caso particolare del carteggio D’Atri, specie in relazione al suo scambio con Zandonai. Le 888 lettere inviate a fronte delle 2411 ricevute inducono a ipotizzare una perdita di circa due terzi delle lettere virtuali, in gran parte attribuibile alle dispersioni belliche sopra ricordate. Il controllo anno per anno avvalora queste lacune assai cospicue, con particolare enfatizzazione negli anni 1921, 1922, 1923, 1925, 1928, 1929, 1932, 1942, 1943, dove risultano spesso assenti intere mesate. Ma non c’è quasi anno che non registri ammanchi anche considerevoli. Si calcola in 148 i mesi totalmente privi di lettere di D’Atri a fronte di quelle di Zandonai a lui inviate, per un numero totale che si aggirerebbe così intorno ai 2000 pezzi di lettere virtualmente mancanti.

Anche le 90 lettere in difetto nella corrispondenza Zandonai-Rossato e le 170 in quella Zandonai-Clausetti portano a pensare a un analogo problema. Non si sa pronunciarsi, invece, in merito alle 200 lettere di differenza riscontrate nel carteggio D’Atri-Rossato, dove la parte mancante attiene alla sezione pavese (lettere in entrata). Anche lo scambio Zandonai-Rossato è sbilanciato per di un centinaio di pezzi, il che, aggiunto ai precedenti, porta l’entità ipotetica delle dispersioni, per la sola parte ‘a tre’ dei repertori principali, a un numero non inferiore ai 2360 documenti.
Problematiche non minori si registrano per gli altri incroci, specie in relazione alla figura più marginale di Pizzini, che non c’è motivo di ritenere abbia mai scritto a Rossato e forse nemmeno a Clausetti. Si notino però le 219 lettere da lui spedite a D’Atri a fronte di nessuna lettera ricevuta. Identica situazione si riscontra nel contatto Clausetti-D’Atri, con 275 lettere di sola andata. Immaginando per questi due casi a una quota almeno pari di lettere in risposta, si arriva facilmente, sommandolo ai precedenti, a un numero assai vicino se non superiore ai 3000 pezzi di corrispondenza che si presumono mancanti.
Sempre a livello ipotetico, si può attribuire una parte delle lacune registrate nei Repertori principali a possibili sottrazioni effettuate da Nicola D’Atri negli undici anni successivi alla morte di Zandonai quando si trovò a gestire da solo l’immane repertorio di sua pertinenza. Senza voler per forza pensare ad azioni di censura e tenendo pur conto dell’estrema scrupolosità dell’uomo, si potrebbe attribuire l’occultamento e/o la distruzione di porzioni di epistolario a intervenute ragioni affettive, di convenienza o speculative.

Del suo patrimonio epistolare D’Atri fece un ampio cenno in una confidenza a Zandonai del 12 aprile 1944 dove disse: «In quest’ultimo periodo ho occupato il mio tempo a rivangare tutte le mie vecchie carte, accumulate da anni ed anni. Prima che si spegnessero le caldaie dei caloriferi ne ho mandate dei cesti a bruciare. Per sistema ho sempre conservate le lettere, anche le più insignificanti. Chi sa! nella mia carriera di pubblicista potevano sorgere occasioni di doverle ripescare. Ma ora, in fine di carriera o, per dir meglio, di esistenza, a che servivano? Quindi tutte al fuoco. Ho salvato soltanto tutta la corrispondenza con voi, con Pizzini, Rossato, Clausetti dal 1912 in poi ed ho messo da parte non molte lettere di carattere intimo, riferentisi a momenti della mia vita. Ma anche queste a chi potrò mai affidarle non avendo figli? La corrispondenza con voi e per voi l’ho raccolta in tanti pacchi, più o meno bene ordinati per annata, e a miglior tempo ne riempirò una cassa da spedire a Don Rossaro. Per ora le ho riunite in una banda. Avrei avuto voglia di immergermi nella lettura di quella nostra corrispondenza per rievocare i momenti più belli e interessanti della nostra amicizia, ma è un piacere che riserbo ad altra epoca, se ne avrò il tempo e l’animo». Il triennio trascorso tra il decesso di Nicola D’Atri e la consegna roveretana lascia pensare a una nuova azione di cernita e riordinamento dei materiali da parte degli eredi.

«Miscellanea»

Tutto quanto esula dai contatti diretti tra i cinque personaggi sopra elencati rientra nella sezione miscellanea, che spazia dall’anno 1897 al giugno 1944, per un totale di 3513 pezzi, affluiti alla Biblioteca di Rovereto attraverso successive donazioni nel corso del tempo e sistemati sotto segnature diverse. Si considerano in questa sezione anche repertori esterni. Il blocco miscellaneo contiene una miriade di carteggi singoli, talora limitati a solo pochi documenti, altre volte comprendenti blocchi più organici, riguardanti in prevalenza comunicazioni di ordine non professionale: amici, sostenitori, ammiratori, conoscenti. Significativamente deficitario risulta invece lo specifico dei rapporti con familiari e parenti, con l’unica eccezione delle lettere ai genitori dell’estate 1914 e di quelle al cugino Oliviero Costa. Sembra fuori dubbio che un’azione diretta della guerra (la Prima), con l’occupazione della casa di Sacco e la sottrazione di oggetti stia alla base della perdita di questi carteggi dell’età giovanile. Un nucleo accertato, quello delle lettere d’amore intercorse tra Zandonai e  Tarquinia nei primi anni del loro rapporto fu invece consensualmente distrutto nel fuoco prima di abbandonare la villa di Pesaro al comando nazista. E naturalmente non si ha, allo stato, alcuna possibilità di quantificare e qualificare gli eventuali ma più che possibili carteggi rimasti tuttora di proprietà privata.

Nei carteggi interni alla Biblioteca Civica di Rovereto si segnalano i contatti con l’amico libraio Giovanni Giovannini (ca. 300 lettere tra inviate e ricevute) e quelli con l’amico avvocato Aldo Pizzagalli (165). Blocchi più piccoli, ma in evidenza, riguardano le persone del pittore Vittorio Casetti, dell’industriale Ovidio Giorgi, del diplomatico Mario Mengoni, della nobildonna Luisa de Probizer, dell’avvocato Filippo Perrone, del cugino Oliviero Costa. Un cospicuo numero di missive scritte e ricevute connota anche il carteggio di Tarquinia Tarquini, complessivamente più dispersivo ed eterogeneo e fattosi decisamente fitto negli anni della lunga vedovanza.
Tra i repertori esterni alla Biblioteca Civica vanno ad arricchire considerevolmente il quadro miscellaneo le 382 lettere di Zandonai alla Casa Ricordi tuttora inedite, il blocco siciliano delle 251 lettere della corrispondenza con il baritono Carmelo Maugeri, già pubblicate parzialmente nel 1975 a cura di Renato Chiesa e in forma integrale nel 1996 a cura di Emanuela Ersilia Abbadessa, e quello fiorentino delle 168 + 95 lettere della raccolta privata Leonardi, indirizzate rispettivamente all’amico Lino Leonardi  e al maestro Vincenzo Gianferrari, andate in stampa nel 1983 e oramai ampiamente fuori catalogo.

A fronte di tanta abbondanza, si registra come aspetto il più critico dell’intero epistolario l’assenza totale di corrispondenze tra Zandonai e gli artisti importanti della sua epoca: nessun contatto in tal senso emerge con Puccini, Mascagni, Giordano, né con Pizzetti, Casella e il gruppo dei ‘modernisti’, tanto meno con gli autori stranieri di qualsiasi area. Scarsissimi e improntati a puro pragmatismo gli scambi con intellettuali come D’Annunzio, Pascoli e Selma Lagerlöf. Tolti Umberto Moggioli e Luciano Baldessari, non compare alcun pittore di primo piano, così come non si trovano poeti, narratori, attori od autori teatrali. Dei cantanti da lui conosciuti rimane degno di nota il solo carteggio sopra citato con Maugeri. Va sottolineato che non si ha traccia di contatti imbarazzanti o impegnativi con un qualsiasi esponente dell’establishment né alcun indizio di allineamento più che formale ai poteri costituiti. I pochi scritti indirizzati a personalità pubbliche di rilievo sono sempre usciti materialmente dalla penna di Nicola D’Atri, che lasciava a Zandonai il solo onere della firma. Si ha motivo di ritenere che per ragioni prudenziali i discorsi sull’attualità politica fossero sbrigati dai tre amici in forma esclusivamente orale. La stessa mancata frequentazione di territori pericolosi vale per il settore strettamente privato, dove è del tutto assente il risvolto segreto, piccante, scandalistico che invece arricchisce e qualifica più di un carteggio d’artista. Salvo che non si voglia indulgere alla dietrologia immaginando da parte del vecchio Nicola D’Atri una preordinata eliminazione di lettere a vario titolo compromettenti, quella che ne esce di Zandonai è un’immagine assolutamente specchiata.

«Repertori postumi»

L’ultima sezione comprende le lettere miscellanee successive alla morte di Zandonai, che vanno riguardate soprattutto come indicatori della fortuna del compositore e delle sue opere nel corso degli anni e dunque rendono conto impietosamente del progressivo oscuramento calato su questa figura di artista un tempo noto. Esse relazionano anche di molti fatti di cronaca quali le speciali iniziative prese dalla municipalità roveretana per onorarne la figura: particolarmente corpose in tal senso le documentazioni del 1947 e del 1951. Mancano tristemente negli anni dai ’50 agli ’80 testimonianze significative di studi e ricerche sul musicista, e nemmeno se ne sono trovate di relative al ritorno d'interesse nei pressi dell’anno centenario (1983), nel quale pure si sono registrati interventi significativi. L’unica cospicua eccezione rimanda a Bruno Cagnoli e alla fase di costruzione del suo libro monografico uscito una prima volta nel 1977, con conseguente fitta corrispondenza tra lui e la vedova Tarquini: la donazione Cagnoli è l’ultima in ordine di tempo ad essere confluita nel Fondo Zandonai della Biblioteca «Tartarotti».

Per la sua stessa natura aperta, la sezione «Repertori postumi» rimane virtualmente disponibile ad accogliere tutte le corrispondenze che dovessero aggiungersi nel corso del tempo. Attualmente il blocco è composto di 1387 pezzi.

La datazione dei documenti è stata spesso problematica e condotta con tutti gli strumenti disponibili: dal calendario perpetuo ai controlli incrociati, dalla ricostruzione ipotetica all’integrazione derivata dal contesto o da chiari riferimenti. Ci si è rassegnati a lasciare prive di data quelle (poche) lettere per le quali qualsiasi intervento d’indagine o di ragionamento si è rivelato vano, ospitandole in una piccola sezione a parte (gruppo ‘sdatate’).

(Diego Cescotti 2014)

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(1) Per uno sguardo sul Legato Zandonai della Biblioteca Civica, cfr. Diego Cescotti, Il Fondo Riccardo Zandonai, Annali roveretani, Rovereto 2001.

(2) All’interno di questa donazione si situano certamente anche altri carteggi minori, confluiti in altre siglature e qui ricondotti alla sezione miscellanea.